Domenico Parisi    
 

intervista

 
Quali sono i veri problemi della scuola?

1. Il problema numero uno: il cambiamento

Della scuola si discute ogni giorno. La ragione e’ molto semplice. I problemi della scuola interessano personalmente un grande numero di persone, gli studenti, i loro genitori, gli insegnanti. Interessano anche i pedagogisti e gli intellettuali, che ne discutono sui giornali e nei libri, e i politici, che ne fanno oggetto di interventi e riforme. Eppure, nonostante tutto questo discutere e intervenire, la societa’ oggi dimostra una singolare impotenza a risolvere i "problemi della scuola", tanto che la scuola sembra in una sorta di crisi perenne da cui non riesce a uscire, una crisi che si manifesta prima di tutto come un malessere in tutti coloro che hanno a che fare con la scuola.

Una delle ragioni fondamentali che spiega questa impotenza e’ che i problemi della scuola di cui si discute e che si cerca in qualche modo di risolvere sono problemi che non toccano la sostanza delle cose, le ragioni profonde del disagio della scuola, mentre dei problemi veri, quelli che stanno alla radice della crisi storica dell’istituzione scuola nelle societa’ moderne economicamente avanzate, c’e’ scarsa consapevolezza, specialmente di quanto siano profondi e radicali. I problemi veri della scuola non sono la riorganizzazione dei cicli scolastici, il modo in cui vengono fatti gli esami, la formazione degli insegnanti, i loro stipendi, l’autonomia didattica delle scuole, l’introduzione di un sistema di valutazione dei ragazzi oggettivo e valido su tutto il piano nazionale, l’incentivazione della produttivita’ delle scuole, l’incentivazione allo studio per gli studenti "capaci e meritevoli". Anche quando venissero risolti tutti questi problemi, ancora non si sarebbe fatto nulla per portare la scuola fuori della crisi strutturale che sta attraversando. E lo stesso vale per problemi piu’ "politici" come il finanziamento della scuola privata o il fatto che il successo scolastico e’ ancora legato al livello socio-culturale della famiglia.

Quali sono allora i veri problemi della scuola? I veri problemi della scuola non sono i problemi della scuola ma sono i problemi della societa’. Le discussioni e gli interventi sulla scuola non riescono a uscire dal cerchio dei problemi superficiali che abbiamo elencato perche’ il sistema scuola guarda al suo interno mentre dovrebbe guardare fuori di se’, nella societa’. Come ha detto lo storico Eric Hobsbawm, "le fondamenta stesse della nostra societa’ sono state terremotate dalla rivoluzione economica, sociale e culturale dell’ultima parte del XX secolo", mentre la scuola sembra muoversi ancora in una societa’ pre-terremoto.

Tutti i problemi della scuola sono difficili da risolvere, anche quelli che abbiamo definito superficiali. Figuriamoci quelli che sono i veri problemi della scuola. I problemi veri della scuola sono molto piu' difficili da risolvere prima di tutto perche’ sono problemi fondamentali, cioe’ problemi che richiedono cambiamenti radicali nei fondamenti stessi di una istituzione molto antica e pochissimo propensa al cambiamento come la scuola, mentre i problemi superficiali lasciano i fondamenti della scuola intoccati. Secondo, perche’ i cambiamenti necessari per risolvere i problemi veri della scuola non investono solo la scuola, ma anche la societa’ e la cultura fuori della scuola. E societa' e cultura oggi cambiano molto e velocemente ma il cambiamento sembra sfuggire agli sforzi di pilotarlo e governarlo. Terzo, perche’ i problemi veri della scuola non sono neppure riconosciuti e visti con chiarezza e, ovviamente, se non si vede un problema, non si puo’ lavorare a risolverlo. Anzi la misura della gravita’ della crisi della scuola e’ proprio il fatto che la scuola non vede e non riconosce quali sono i suoi veri problemi. Percio' il primo passo per risolvere i veri problemi della scuola e’ riconoscerli, analizzarli e capirne bene la natura. Questo e’ quello che cerchiamo di fare (anzi di cominciare a fare) in questo libro.

Il problema numero uno della scuola e’ il cambiamento. Per capire le difficolta’ che il cambiamento pone alla scuola e il difficile rapporto che la scuola ha con il cambiamento, bisogna prima di tutto domandarsi quali sono i compiti che la societa’ assegna alla scuola.

La societa’ assegna alla scuola due compiti. Il primo compito e’ trasmettere il sapere e la cultura del passato alle nuove generazioni. Diversamente dagli altri animali che ereditano i loro comportamenti belli e fatti per via genetica o li acquisiscono tramite l’esperienza e l’apprendimento individuale, gli esseri umani imparano dagli altri quasi tutto quello che sanno e che sanno fare. I piccoli imparano dai grandi comportamenti, conoscenze e valori, e in questo modo il sapere e la cultura vengono trasmessi e mantenuti nel succedersi delle generazioni. Nelle societa’ semplici non e’ necessaria nessuna istituzione specifica che si occupi della trasmissione del sapere. Sono sufficienti i genitori, i maestri artigiani, qualunque altro individuo con cui si interagisce nella vita di tutti i giorni. Nelle societa’ piu’ complesse la trasmissione del sapere e della cultura e’ affidata a una istituzione apposita, la scuola.

La trasmissione culturale ha delle somiglianze con la trasmissione per via genetica, quella che passa attraverso il DNA. In entrambi i casi vi e’ "discendenza con modificazione" ("descent with modification"), come diceva Darwin. La "discendenza" significa il mantenimento del passato, il suo riprodursi in altri individui dopo che gli individui precedenti sono scomparsi. Biologicamente, i figli hanno gli stessi geni dei genitori. Culturalmente, la nuova generazione eredita il sapere e la cultura della generazione precedente. La "modificazione" e’ dovuta a due fattori. Il primo e’ che la "discendenza" e’ selettiva. Non tutto viene ugualmente riprodotto. Biologicamente, non tutti gli individui si riproducono o hanno lo stesso numero di figli, per cui alcuni corredi genetici individuali si riproducono piu’ di altri. Culturalmente, non tutti i modi di comportarsi, o le idee, o i prodotti tecnologici della generazione precedente vengono trasmessi alla generazione successiva. L’altro fattore che produce la "modificazione" sono i cambiamenti che ogni generazione apporta a cio’ che viene trasmesso, in modo che vi sia evoluzione, e non pura conservazione e stasi. Nel caso della trasmissione per via genetica, il cambiamento sono le mutazioni genetiche che modificano il DNA e la ricombinazione genetica sessuale, cioe’ il ricombinarsi di parti del DNA della madre e di parti del DNA del padre nel DNA del figlio o della figlia, per cui i figli somigliano ma non sono identici ai loro genitori. Nel caso della trasmissione culturale, il cambiamento e’ l’invenzione di nuove conoscenze, di nuovi modi di comportarsi e di nuovi prodotti del comportamento, per cui ogni generazione consegna alla generazione successiva una cultura simile ma non identica a quella che ha avuto in eredita’ dalla generazione precedente.

Nell’organizzazione della societa’ la scuola ha soprattutto il compito della "discendenza" culturale, cioe' della trasmissione e conservazione del passato. Il compito della "modificazione", cioe' del cambiamento e della introduzione di novita' nella societa’ e nella cultura, e’ affidato alla ricerca scientifica, artistica, organizzativa, e alla creativita’ in ogni campo delle attivita’ umane, inclusa ovviamente anche l’attivita’ di insegnare e di imparare. Il fatto che alla scuola spetti il compito della "discendenza", cioe’ della conservazione e trasmissione del passato, va tenuto ben presente se vogliamo capire quale puo’ essere il rapporto della scuola con il cambiamento.

Ma la scuola ha anche un secondo compito, oltre a quello di trasmettere il sapere e la cultura. Il secondo compito della scuola e’ preparare i giovani alla societa’ in cui vivranno, in modo che essi siano prima di tutto in grado di capire quella societa’ e poi di contribuire al suo cambiamento. Le societa’ umane non sono tutte uguali, sono diverse a seconda dei tempi e dei luoghi, e soprattutto cambiano nel tempo. Percio’ le diverse societa’ richiedono conoscenze, comportamenti e valori diversi nelle persone che debbono vivere in esse. Quello che ci si aspetta dalla scuola e’ che dia ai giovani le conoscenze, le abilita’ e anche i valori appropriati alla societa’ in cui vivranno da adulti.

Se questi sono i due compiti fondamentali che la societa’ assegna alla scuola, trasmettere il sapere e attrezzare i giovani alla societa’ in cui vivranno da adulti, la domanda e’: Che rapporto c’e’ tra i due compiti? I due compiti si possono armonizzare tra di loro in modo che la scuola li possa adempiere entrambi senza incontrare particolari problemi?

Se il cambiamento nella societa’ e nella cultura e’ lento, la scuola puo’ svolgere entrambi i compiti in modo armonico e senza troppi problemi. Questo e’ quello che e’ successo fino ad oggi. E’ vero che la societa’ cambia sempre, e quindi cambiano la cultura, i comportamenti, le conoscenze, i valori trasmessi per apprendimento dagli altri, ma se il cambiamento non e’ veloce la scuola puo’ trasmettere la cultura della generazione precedente con i limitati aggiustamenti intervenuti nel frattempo, e nello stesso tempo preparare i ragazzi alla societa’ in cui vivranno da adulti. La societa’ in cui gli studenti vivranno da adulti sara’ un po’ diversa da quella attuale o da quella di qualche anno o decennio addietro, ma non di molto. Percio’ la scuola puo’ trasmettere la cultura del passato sapendo che nel frattempo adempie anche al suo secondo compito, preparare i giovani a vivere nella societa’ in cui sono destinati a vivere.

Le cose si complicano se il cambiamento sociale e culturale e’ rapido. Se diventa veramente veloce, i due compiti della scuola entrano in contrasto tra loro. La scuola trasmette la cultura del passato (per definizione quello che si trasmette e’ il passato) ma, facendo questo, finisce per non preparare i giovani a vivere nella societa’ in cui vivranno da adulti. La societa’ in cui i giovani vivranno da adulti sara’ diversa dalla societa’ di adesso e, ancora di piu’, da quella del passato, anche recente, e richiedera’ comportamenti, conoscenze e valori diversi da quelli della cultura del passato.

Ora basta dare uno sguardo rapido alla storia complessiva delle societa’ umane per rendersi conto che esse sono caratterizzate da un’accelerazione continua del cambiamento. Se andiamo molto indietro nel tempo, all’inizio della storia umana, scopriamo che il cambiamento culturale era estremamente lento e quello che veniva trasmesso da una generazione alla successiva era praticamente identico a quello che ogni generazione aveva ricevuto in eredita’ dalla generazione precedente. Poi il cambiamento ha cominciato a diventare piu’ veloce e sono diventati sempre piu’ brevi i periodi di tempo necessari per vedere le cose cambiare. L’accelerazione e’ continuata fino ad oggi. Oggi il cambiamento e’ diventato cosi’ rapido che facciamo fatica a tenergli dietro e ad adattarci ad esso.

Il modo migliore per rendersi conto di questa continua accelerazione del cambiamento e’ considerare il cambiamento nella tecnologia. La tecnologia fa parte della cultura. La mente umana si esprime in comportamenti, pensieri, parole, ma anche in prodotti esterni che sono gli artefatti tecnologici (e artistici). Apprendere dagli altri significa in buona misura apprendere osservando e usando cio’ che e’ stato prodotto dagli altri, cioe’ gli artefatti tecnologici. (Bisognera’ ricordarsi di questo ogni volta che parleremo del computer e delle tecnologie basate sul computer.)

La tecnologia cambia come cambia tutta la cultura. Gli artefatti tecnologici di una generazione sono presi come modelli da riprodurre dalla generazione successiva ma la riproduzione e’ selettiva, cioe’ alcuni artefatti sono riprodotti e altri no, e ogni generazione aggiunge variazioni e innovazioni. Il risultato e’ il cambiamento tecnologico. All’inizio della storia umana, nel Paleolitico inferiore che comincia piu’ di 2 milioni di anni fa, gli artefatti (gli strumenti di pietra) erano pochi e cambiavano poco. Prevaleva la "discendenza" piuttosto che la "modificazione". Il cambiamento o non c’era o si misurava in centinaia di migliaia anni. Poi, con il Paleolitico superiore (40.000 anni fa) e ancora di piu’ con il Neolitico (10.000 anni fa) il cambiamento accelera, gli artefatti si moltiplicano, si differenziano, invadono sempre nuovi campi della vita e dell’attivita’ degli esseri umani. L’accelerazione continua anche dopo con la comparsa in alcune regioni della Terra delle citta’, degli stati, delle "civilta’", a cominciare da 5.000 anni fa. Da allora il cambiamento tecnologico ha acquistato ancora maggiore velocita’ fino alla accelerazione dovuta alla rivoluzione scientifica e poi industriale degli ultimi secoli, e alla accelerazione ancora piu’ forte nel corso del Novecento, fino ad oggi, sotto la spinta del computer.

Oggi il cambiamento non si misura piu’ in millenni o in secoli, ma in anni o addirittura in mesi - si pensi al cambiamento nelle tecnologie del computer dove ci sono novita’ ogni sei mesi. Ha superato la soglia di una generazione, per cui quello che c’era quando si era bambini o ragazzi non c’e’ piu’ quando si diventa adulti. La spinta viene dalla ricerca scientifica e dall’innovazione tecnologica ma soprattutto dal mercato che prospera proprio sul cambiamento, cioe’ sulla creazione di sempre nuovi bisogni e di nuovi modi di soddisfarli. Un’idea quantitativa dell’accelerazione si puo’ avere contando quanti anni passano perche’ una nuova tecnologia sia adottata da almeno il 25% della popolazione a partire dal momento in cui viene introdotta: ci sono voluti 46 anni per l’elettricita’, 35 per il telefono, 26 per la televisione, 16 per il personal computer, 13 per il telefono cellulare, appena 7 per Internet. Un’idea di cosa possono essere i momenti di accelerazione si puo’ avere considerando che uno dei primi computer, il computer ENIAC, cosi’ lento e ingombrante rispetto ai computer di oggi, negli 11 anni in cui e’ rimasto in funzione, dal 1945 al 1956, ha fatto piu’ operazioni aritmetiche di tutte le operazioni aritmetiche fatte da tutti gli esseri umani fino allora.

Quello che abbiamo detto del cambiamento tecnologico si puo’ dire anche per il cambiamento nelle istituzioni sociali e politiche, nei beni prodotti e scambiati, nei comportamenti, nelle idee, nei valori. Ovunque cambiamento, e cambiamento che accelera con il tempo. Oggi il cambiamento e’ in ogni campo, e’ molto veloce, e la sua velocita’ cresce.

Se le cose stanno cosi’, la scuola non puo’ che trovarsi in seria difficolta’. Quando il cambiamento diventa molto veloce, le due funzioni della scuola entrano in contraddizione l’una con l’altra. Se la scuola si preoccupa di trasmettere la cultura (che per definizione e’ il passato), questo significa che non riesce a preparare i giovani alla societa’ in cui vivranno da adulti - ma in realta’ ormai neppure alla societa’ in cui vivono adesso da giovani. Se invece la scuola cerca di preparare i giovani alla societa’ cosi’ come e’ oggi e come sara’ tra 10-20 anni (il tempo per uno studente di diventare adulto), essa vede sgretolarsi davanti ai suoi occhi molta della cultura che trasmette da sempre in quanto questa cultura non e’ piu’ in sintonia con la societa’ presente e futura. In questo conflitto tra i suoi due compiti e’ la ragione profonda, la grande causa, del malessere della scuola, il malessere sentito da tutti coloro che hanno a che fare con la scuola, gli studenti, gli insegnanti, i genitori, gli studiosi che si occupano di scuola, gli amministratori e i governanti.

E’ un malessere che va al di la’ della scuola. Oggi la realta’ sembra a molti meno comprensibile che in passato, e il futuro meno prevedibile, piu’ estraneo, meno governabile che in passato. Molte sono le cause di questa diminuita comprensibilita’ della realta’, e noi le analizzeremo nel Capitolo 8 del libro. Una delle cause principali e’ il cambiamento troppo veloce. Il cambiamento troppo veloce rende la realta’ poco comprensibile perche’ comprendere la realta’ significa interpretarla in base agli schemi che abbiamo appreso. Ma gli schemi appresi da giovani, o magari soltanto qualche anno prima, diventano inoperativi e inappropriati per il fatto che la realta’ che dovevano servire a interpretare nel frattempo e’ cambiata. Non disponendo di schemi interpretativi appropriati, e’ inevitable che la realta’ ci sembri poco comprensibile, poco prevedibile, poco controllabile. E la scarsa comprensibilita’ della realta’ produce malessere - almeno fino a quando non ci abitueremo a vivere senza provare malessere in una realta’ poco comprensibile, se e’ questo quello che ci succedera’ in futuro.

E la scuola? La scuola e’ il luogo dove la realta’, quella esterna e sociale, dovrebbe cominciare a diventare comprensibile a chi si appresta a diventare adulto. E’ la scuola che fornisce i primi e grandi schemi interpretativi della realta’. Ma oggi la scuola sa lei per prima, piu’ o meno coscientemente, che non e’ piu’ in grado di fornire gli schemi interpretativi della realta’ perche’ ogni schema che essa fornisca ai ragazzi diventera’ obsoleto e inutile quando i ragazzi saranno diventati adulti. Peggio ancora, la scuola sa che gli schemi interpretativi della realta’ che essa e’ in grado di fornire ai ragazzi non sono appropriati neppure per la realta’ presente. E’ la scuola che per prima sente la realta’ come incomprensibile.

Quando per l’accelerazione del cambiamento i suoi due compiti entrano in conflitto tra loro, la scuola inevitabilmente sceglie quello della trasmissione e conservazione del sapere e rinuncia a preparare i giovani alla societa’. La scuola ha un vero e proprio problema con il cambiamento. In una societa’ in cui tutto cambia velocemente, la scuola non cambia. Seymour Papert ha osservato che chi arrivasse nella societa’ attuale provenendo dal passato troverebbe tutto nuovo e diverso tranne che la scuola. Troverebbe che la medicina e’ diversa, il lavoro e’ diverso, i modi di passare il tempo libero sono diversi, i modi di viaggiare sono diversi. Ma entrando in una classe scolastica troverebbe che quello che succede li’ dentro non e’ molto diverso da quello che succedeva ai suoi tempi. Nella cattedrale di Pistoia c’e’ la tomba di Cino da Pistoia, un giurista e poeta dell’inizio del Trecento. Un bassorilievo ritrae Cino dietro una cattedra e davanti a lui gli studenti seduti nei loro banchi. Questo e’ quello che, sostanzialmente, ancora si vede entrando oggi in un’aula scolastica. La scuola non cambia in una societa’ che cambia. Se la scuola deve preparare per la societa’, questo non puo’ non essere un problema serio.

E’ per questo che i problemi che oggi vengono considerati come i "problemi della scuola", quelli che vengono discussi da insegnanti, pedagogisti e intellettuali e che i politici cercano di risolvere, sono problemi superficiali. Sono problemi che, se anche venissero risolti, la scuola cambierebbe solo in superficie, mentre per fare uscire la scuola dalla sua crisi strutturale dovuta all’accelerazione del cambiamento, la scuola dovrebbe prima di tutto identificare e analizzare con chiarezza i suoi "veri" problemi e poi cambiare molto profondamente per risolverli.

Riassumiamo. La scuola ha due compiti, trasmettere alle nuove generazioni la cultura del passato e attrezzare i giovani perche’ essi siano in grado di svolgere la loro parte nella societa’ in cui vivranno da adulti. La trasmissione della cultura del passato e’ necessaria perche’ questa cultura continui ad esistere. Ma altrettanto importante e’ preparare i ragazzi a vivere in una societa’ che, quando usciranno dalla scuola, s’inoltrera’ per piu’ di mezzo secolo nel futuro. Da questo punto di vista la scuola e il mestiere dell’insegnante sono diversi da ogni altra istituzione e da ogni altro mestiere della societa’, dato che hanno a che fare non con il presente, con la societa’ come e’ adesso, ma con il futuro e con la societa’ come sara’ nei decenni successivi.

La conciliazione tra questi due compiti non pone problemi in una societa’ in cui il cambiamento e’ lento e non riguarda le caratteristiche fondamentali della societa’. Le cose si complicano se, come succede oggi, il cambiamento e’ veloce e riguarda i fondamenti stessi del modo in cui gli esseri umani lavorano, pensano, e comunicano, i loro valori, il quadro complessivo di come si presentano le cose. La scuola e’ soprattutto attrezzata per trasmettere e conservare il passato, dato che il passato finora ha sempre "funzionato", e non si e’ mai posta il problema di "seguire" il presente e tanto meno di guardare al futuro attrezzandosi per un futuro diverso dal presente. Ma se il ritmo di cambiamento accelera la scuola e’ tirata in direzioni diverse. Se fa bene una cosa, fa male l’altra. Anzi fa male tutte e due. Siccome viene da un passato in cui il suo primo compito, quello di trasmettere e conservare il passato, era prevalente, la scuola finisce per rinunciare a svolgere il secondo compito, quello di attrezzare i giovani a vivere nella societa’ in cui vivranno da adulti. In realta’ oggi la scuola non riesce a svolgere neppure il primo compito perche’ la societa’ attuale e i ragazzi che ci vivono dentro e "sentono" la velocita’ e la profondita’ del cambiamento, semplicemente non "ricevono" piu’ il passato, non se lo fanno trasmettere.

Quindi il problema numero uno della scuola, il primo problema "vero", e’ il cambiamento. Per uscire dal conflitto in cui la societa’ oggi la precipita, la scuola dovrebbe essere pronta a cambiare e a cambiare profondamente, riesaminando alla radice i suoi compiti e i modi di adempierli. Invece la scuola e’ la sola istituzione della societa’ che non cambia e che anzi ha una particolare resistenza a cambiare. Per una istituzione sociale che, per assolvere ai suoi compiti, deve guardare al futuro, questo e’ chiaramente il problema.

2. Sei problemi

Se il problema numero uno della scuola e’ il cambiamento, quali sono i contenuti specifici del cambiamento? Cosa deve cambiare nella scuola? I problemi principali a cui la scuola deve dare una risposta se vuole tornare ad essere in sincronia con la societa’ sono questi:

- Che posto deve avere il computer nella scuola?

- Come deve reagire la scuola all’emergere di una comunicazione visiva capace di competere con quella linguistica?

- Quali sono le implicazioni della globalizzazione per la scuola?

- Come deve reagire la scuola all’emergere della cultura di massa?

- Come va cambiato il curriculum scolastico?

- Come va cambiato il sistema complessivo delle istituzioni con cui la societa’ educa i suoi membri?

In questo primo capitolo introduciamo brevemente questi sei problemi. Nel resto del libro li analizziamo in modo piu’ dettagliato.

  1. Che posto deve avere il computer nella scuola?
  2. Il computer riassume e rappresenta il simbolo dei problemi della scuola. Il computer gia’ oggi influenza ogni aspetto della nostra vita mentale, sociale, produttiva, culturale, ma esso dispieghera’ tutte le sue potenzialita’ nel XXI secolo. La scuola ignora il computer, e questo riassume i problemi della scuola, dato che una scuola che ignora il computer non puo’ essere una scuola per la societa’ attuale e soprattutto per la societa’ del XXI secolo nella quale vivranno da adulti i ragazzi che oggi vanno a scuola.

    Quando diciamo che la scuola ignora il computer non ci riferiamo solo o principalmente al fatto che i computer nella scuola non ci sono (si puo’ dire che i computer ci sono nella scuola solo se ogni studente ha il suo computer), che nella scuola i computer non si sa usarli, che i computer non vengono usati dalla scuola sfruttando le loro grandi potenzialita’ come strumenti di apprendimento. Ci riferiamo al fatto che la scuola ancora non ha riconosciuto il significato intellettuale e culturale del computer nella storia e nella societa’ del Novecento. Capire cosa e’ intellettualmente e culturalmente il computer significa capire cosa e’ la modernita’, cosa e’ il mondo attuale nel quale la modernita’ occidentale sta estendendo progressivamente la sua influenza, cosa gli esseri umani pensano della loro mente e di loro stessi, cosa vuol dire che la mente umana non e’ qualcosa di indipendente dagli strumenti tecnologici che essa crea e che usa per funzionare, cosa significa conoscere e capire la realta’ quando la realta’ puo’ essere osservata, analizzata e manipolata non solo nella sua versione reale ma anche nella sua versione virtuale di una simulazione con il computer. Tutti questi contenuti e significati culturali del computer sono ancora estranei alla scuola, sono fuori della cultura degli insegnanti e fuori dei programmi scolastici. Se ci chiediamo quale deve essere il posto del computer nella scuola in modo che lo scandalo di una scuola senza computer venga a cessare, dobbiamo fare entrare il computer nel curriculum scolastico in questo senso intellettuale e culturale, insieme al computer come macchina fatta di hardware e di software.

  3. Come deve reagire la scuola all’emergere di una comunicazione visiva capace di competere con quella linguistica?
  4. Il linguaggio verbale e’ uno dei pilastri della cultura e uno dei pilastri della scuola. Specialmente la tradizione culturale dell’Occidente vede nel linguaggio quello che fa gli esseri umani veramente umani. Per la religione cristiana in principio era la parola. Le grandi religioni monoteiste sono religioni dei testi scritti. Per gli storici la civilta’ e la storia cominciano con la scrittura. Le invenzioni occidentali della democrazia e della scienza sono fondate sulla parola e sulla discussione pubblica come mezzi per comunicare e per confrontare con gli altri i propri argomenti a sostegno di quello che si crede e di quello che si fa.

    Anche da un punto di vista piu’ distaccato, piu’ scientifico, un punto di vista che prende le distanze, nella misura in cui questo e’ possibile, dalla particolare tradizionale culturale dell’Occidente, il linguaggio appare come una caratteristica specificamente umana e una caratteristica cruciale per capire quale e’ il pattern adattivo tipico degli esseri umani. Tuttavia se ci si pone da questo punto di vista anche altri aspetti, non linguistici, della cognizione umana debbono essere considerati importanti e tipicamente umani. Tra questi aspetti vi e’, primo, il vedere e il costruire artefatti esterni che facciano da supporto alla visione (figure, immagini, oggetti tridimensionali) e, secondo, il modificare l’ambiente esterno facendo attenzione agli effetti delle proprie azioni sull’ambiente esterno e imparando a prevedere e a controllare questi effetti. Sono le nostre capacita’ di vedere e di prevedere e controllare le conseguenze delle nostre azioni sull’ambiente esterno che spiegano perche’ gli esseri umani, unici nel mondo animale, vivono in un ambiente esterno che e’ da sempre ma in misura storicamente crescente un loro stesso prodotto.

    Ma la mente umana non e’, se non nelle sue basi genetiche, qualcosa di fisso e di universale. La mente di qualunque organismo (se possiamo usare la parola "mente" in questo senso esteso) non e’ qualcosa che sta solo dentro all’organismo ma e’ qualcosa che risulta dal modo in cui l’organismo interagisce con l’ambiente in cui vive. Per gli esseri umani, diversamente dagli altri animali, l’ambiente esterno non e’ fisso, immutabile e uguale per tutti. Poiche’ gli esseri umani creano il loro stesso ambiente e lo cambiano continuamente, la mente degli esseri umani cambia con l’ambiente - pur sulla base dei vincoli e delle potenzialita’ codificate nel patrimonio genetico della specie. Ambiente esterno per gli esseri umani significa tecnologia. Quindi come funziona la mente degli esseri umani e di quali prodotti essa e’ capace dipende dalla tecnologia disponibile in ogni particolare societa’ in ogni particolare tempo.

    Il linguaggio finora si e’ giovato di due importanti progressi della tecnologia, la scrittura e la stampa. L’invenzione della scrittura ha contribuito prima all’emergere delle antiche civilta’ pre-classiche in Mesopotamia e in Egitto e poi all’emergere della democrazia, della filosofia e della scienza nella Grecia classica. La stampa ha contribuito allo sviluppo della democrazia in Europa dopo il medioevo e alla rivoluzione scientifica del Seicento, quando il disporre di libri stampati e quindi distribuibili in un grande numero di copie non troppo costose, ha reso possibile l’emergere di comunita’ estese di ricercatori che potevano comunicare piu’ facilmente a distanza di spazio e di tempo.

    Anche la visualita’ e’ stata aiutata dalla tecnologia. Anzi, dei due mezzi per comunicare e pensare, il linguaggio e la visualita’, e’ stata la visualita’ che per prima ha ricevuto un aiuto e un aumento di potenzialita’ dalla tecnologia. Le pitture nelle caverne, le sculture preistoriche, le decorazioni del corpo hanno 30 mila anni, mentre la scrittura ne ha solo 5 mila. Ma da allora i progressi delle tecnologie della visualita’ si sono fermati. Fino a tutto l’Ottocento le tecnologie della visualita’ non hanno fatto passi avanti importanti: immagini ferme, bidimensionali, difficili da trasportare da un luogo all’altro, capaci di significare solo cose gia’ visibili nella realta’. E’ stato il Novecento che ha rimesso in moto il processo di sviluppo delle tecnologie della visualita’, con il cinema e poi con la televisione: immagini in movimento, comunicabili a distanza. E questo ha avuto i suoi effetti sulla mente e sulla societa’. Con il cinema e la televisione e’ emerso chiaramente quanto sia grande la propensione degli esseri umani al vedere e alle immagini, e quanto questa propensione sia piu’ generale negli esseri umani della propensione al linguaggio. Cinema e televisione hanno costituto una delle basi per l’emergere della societa’ e della cultura di massa. Con le loro potenzialita’ ampliate dalle nuove tecnologie novecentesche, le immagini hanno cominciato a diventare competitive con il linguaggio ed e’ cominciata quella crescente tensione tra immagini e linguaggio che caratterizza tutto il Novecento. Un piccolo ma significativo esempio di questa competizione e’ il film sull’Amleto di Shakespeare dell’attore inglese Kenneth Branagh. Guardando il film si ha netta la sensazione di come le parole del testo di Shakespeare, che sono una delle manifestazioni piu’ alte e convincenti delle potenzialita’ del linguaggio verbale, e le immagini visive degli attori, delle loro espressioni e del loro recitare visto da vicino come e’ possibile con il cinema ma non a teatro, competano tra loro per catturare l’attenzione di chi guarda e ascolta.

    Ma le potenzialita’ delle immagini stanno espandendosi oggi in modo del tutto nuovo con le tecnologie dell’informazione della seconda meta’ del Novecento, le tecnologie basate sul computer. Con il computer le immagini non sono piu’ soltanto dinamiche e trasportabili a distanza con grande facilita’, come con il cinema e la televisione, ma diventano tridimensionali, interattive, cioe’ tali che quello che si vede con gli occhi dipende da quello che si fa con le mani (fino a riprodurre, con la realta’ virtuale, il cordinamento senso-motorio che ci da’ l’impressione di essere nella realta’ reale), diventano visualizzazioni, cioe’ modi per rendere visibile quello che nella realta’ non lo e’, diventano simulazioni, cioe’ visualizzazioni di qualcosa che ha dietro di se’, dentro il computer, un modello dei processi e dei meccanismi che stanno dietro ai fenomeni della realta’, un modello con cui si puo’ interagire come si interagisce con la realta’.

    Con il computer cresce enormemente il margine competitivo della visualita’ nei confronti del linguaggio. Se fino ad oggi il linguaggio verbale ha avuto un predominio assoluto come mezzo per comunicare con gli altri ma anche come mezzo per pensare, capire, esprimere le proprie idee, il computer comincia a mettere in questione questo primato. La visualita’, aiutata dalla tecnologia, conquista spazi di capacita’ comunicativa e cognitiva a spese del linguaggio. Se il primato del linguaggio nella nostra concezione degli esseri umani, nel funzionamento della societa’ e nella cultura, era centrale e fondazionale, la sua possibile detronizzazione da parte di una visualita’ aumentata dalla tecnologia e dal computer annuncia un altro aspetto del terremoto di cui parla Hobsbawm.

    Questo ha delle conseguenze per la scuola. La scuola ha sempre riconosciuto e tradotto nei fatti il primato assoluto del linguaggio verbale. Tutto l’insegnamento avviene per il tramite del linguaggio verbale, quello orale delle lezioni dell’insegnante e quello scritto dei libri. Al vedere e all’agire, all’interagire con le cose, e’ affidata una parte del tutto marginale nell’apprendimento a scuola. E inoltre la cultura trasmessa dalla scuola e’ una cultura che fa centro sull’idea del primato assoluto del linguaggio verbale. Percio’ la scuola deve fare i conti con il computer anche per questo, deve fare i conti con una nuova tecnologia che per la prima volta mette in questione il primato del linguaggio verbale a favore della visualita’, un primato che costituisce uno dei fondamenti della scuola.

    Come deve reagire la scuola? Certo non puo’ reagire semplicemente difendendo il linguaggio e se’ stessa. Deve esplorare per suo conto, direttamente, la portata, le articolazioni e il senso di questa novita’ e deve imparare a utilizzare nel modo migliore la novita’. La scuola, e la cultura che le sta dietro, debbono rendersi conto che l’emergere della nuova visualita’ basata sul computer non e’ solo possibile riduzione dello spazio del linguaggio (che comunque dovra’ essere una riduzione quantitativa ma non qualitativa) ma e’ anche apertura di nuovi spazi per la mente e per la cultura umana.

  5. Quali sono le implicazioni della globalizzazione per la scuola?
  6. La globalizzazione e’ forse l’evento piu’ importante della fine del XX secolo. Gli esseri umani sono abituati da sempre a vivere dentro una comunita’ ristretta, dai confini economici, sociali, politici e culturali definiti, distinta da altre comunita’ che stanno al di la’ di quei confini. Tutto il loro modello della realta’ e tutti i loro comportamenti si sono organizzati in funzione di questo assetto locale. La globalizzazione significa il progressivo superamento di questo assetto locale e l’emergere di una comunita’ umana, non solo ideale, ma economica, comunicativa, culturale e forse un giorno politica, unica.

    Si puo’ guardare alla globalizzazione con preoccupazione per i problemi che solleva ma la sua inevitabilita’ e’ evidente perche’ essa non e’ altro che lo stadio piu’ recente di un costante processo di ampliamento delle comunita’ umane cominciato nel Neolitico, 10 mila e piu’ anni fa. La globalizzazione che si e’ avviata nell’ultima parte del XX secolo risponde a profonde tendenze ed e’ radicata in meccanismi di base insiti nella natura delle societa’ umane. D’altro canto la globalizzazione non e’ solo portatrice di problemi. Essa e’ anche un nuovo spazio per l’espressione della creativita’ degli esseri umani. Quando eventi del genere sono accaduti in passato, noi oggi ne celebriamo l’importanza come occasioni di sviluppo e di creativita’ degli esseri umani. Perche’ non dovremmo farlo anche adesso che si ha la fortuna di essere nel mezzo di una tale transizione?

    Ovviamente la globalizzazione pone problemi alla scuola. Li pone perche’ la cultura trasmessa dalla scuola e’ una cultura su base locale. La scuola trasmette una cultura locale e trasmette atteggiamenti appropriati a una cultura locale, ad esempio un senso di identita’ locale. Anche in questo caso il cambiamento che attende la scuola e’ profondo. In questo libro lo discutiamo soprattutto in riferimento all’insegnamento della storia, che e’ il luogo piu’ tipico dove locale e globale si incontrano e si scontrano e per il quale si puo’ cominciare a pensare a come effettuare la transizione dal locale al globale.

  7. Come deve reagire la scuola all’emergere della cultura di massa?
  8. Fino alla prima meta’ del Novecento nelle societa’ economicamente avanzate vi era una cultura dominante, la cultura di elite, e una cultura subordinata, la cultura popolare. Nella seconda meta’ del Novecento le cose sono cambiate. E’ emersa una nuova cultura, la cultura di massa, che e’ diventata la cultura della quasi totalita’ della popolazione e che e’ riuscita a mettere ai margini sia la cultura di elite che la cultura popolare.

    La scuola tradizionalmente trasmette la cultura di elite, la grande cultura della letteratura, della filosofia, della storia dei grandi avvenimenti degni di essere tramandati, dell’arte, della scienza. La cultura di massa invece e’ estranea alla scuola. La cultura di massa ha vinto la sua battaglia contro la cultura di elite e contro la cultura popolare fondamentalmente per due ragioni, perche’ e’ stata spinta dal sistema produttivo che nella sua forma attuale si fonda sui consumi di massa e perche’ e’ stata spinta dal diffondersi dei mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo dalla televisione. La scuola si sente estranea sia al sistema produttivo che al sistema delle comunicazioni di massa.

    Ma la scuola e’ stata anche lei coinvolta nel processo di diventare di massa della societa’. La scuola e’ stata da sempre scuola di elite, cioe’ scuola per una minoranza di ragazzi provenienti dalle classi sociali agiate, mentre i cambiamenti nella societa’ hanno fatto diventare la scuola scuola di massa, per tutti i ragazzi. La scuola pero’ e’ rimasta la stessa, non si e’ attrezzata e non e’ cambiata per svolgere il suo nuovo ruolo di scuola di massa. Ad esempio non ha mai veramente affrontato il problema di quali sono effettivamente le capacita’ e le motivazioni dei ragazzi quando si considera la totalita’ della popolazione dei ragazzi, e non solo un segmento ristretto e di elite socio-economica di tale popolazione, e di come organizzarsi dovendo affrontare l’intera distribuzione di capacita’ e motivazioni, non ha modificato i suoi contenuti per tener conto della nuova cultura di massa, che pure e’ la cultura dei suoi utenti, gli studenti, non ha affrontato il problema di fare posto nella scuola alle nuove tecnologie della comunicazione, che pure riempiono la societa’ fuori della scuola.

    Percio’ uno dei problemi veri della scuola e’ quello di fare i conti con la cultura di massa. La scuola non puo’ piu’ essere semplicemente la portatrice della cultura di elite perche’ questo aveva senso quando la scuola poteva pensare che il suo compito fosse o di formare soltanto i ragazzi appartenenti alle classi agiate e quindi gia’ predisposti alla cultura di elite dominante o di inculcare la cultura di elite nei ragazzi provenienti dalle classi popolari e quindi appartenenti a una cultura subordinata. Con la cultura di massa le cose non stanno piu’ cosi’. La cultura di massa e’ oggi la cultura dominante e non ha nessuna intenzione di farsi inculcare la cultura di elite trasmessa dalla scuola. Quale cultura deve quindi trasmettere la scuola nella societa’ di massa? La scuola non ha neppure cominciato ad affrontare questo problema.

  9. Come va cambiato il curriculum scolastico?
  10. Ci sono dei cambiamenti da apportare al curriculum scolastico. Alcune sono aggiunte. In altri casi si tratta di cambiare in modi abbastanza radicali il senso e i contenuti di discipline/materie esistenti. In altri casi ancora si tratta di cambiamenti globali da apportare all’intero curriculum.

    Le principali aggiunte al curriculum sono il computer e i sistemi complessi. Del computer ci occupiamo nel prossimo capitolo e quindi qui possiamo parlarne brevemente. Il punto essenziale e’ che il computer non puo’ essere visto solo come uno strumento pratico che ci aiuta a fare tutta una serie di cose, anche molto diverse tra loro, e che cambia, in alcuni casi radicalmente, il modo in cui le facciamo. Tra le cose che ci aiuta a fare alcune riguardano direttamente proprio l’educazione, dato che il computer, con la multimedialita’, con le simulazioni e con Internet, puo’ essere un potente strumento di apprendimento che la scuola non potra’ continuare a ignorare. Ma non si tratta di questo. Come abbiamo gia’ detto, indipendentemente dal suo essere uno strumento pratico, il computer e’ portatore di una serie di contenuti e di significati intellettuali e culturali che sono fondamentali per capire la societa’ e la cultura del Novecento. Questi contenuti e significati debbono far parte della cultura di base di ogni persona che vive nella societa’ di oggi e soprattutto che vivra’ da adulto nella societa’ dei prossimi decenni. Di questo deve farsi carico la scuola e quindi questa e’ la prima aggiunta al curriculum scolastico.

    La seconda aggiunta sono i sistemi complessi. Anche dei sistemi complessi ci occuperemo piu’ volte, qua e la’, in questo libro. La scienza, non discostandosi in questo dal pensiero comune, ha finora visto la realta’ come composta soltanto da sistemi semplici. Un sistema semplice e’ un sistema fatto di pochi elementi all’interno del quale e’ possibile individuare le cause e gli effetti, prevedere gli effetti conoscendo le cause, sapere quale causa manovrare per ottenere un certo effetto. I sistemi semplici sono il regno della prevedibilita’, della ripetibilita’, delle leggi generali. I sistemi semplici sono stati il terreno su cui la scienza ha ottenuto i suoi maggiori successi, e ha tradotto questi successi nei successi della tecnologia. Ma i sistemi semplici sono anche il paradigma della comprensione per il pensiero comune, nel senso che noi abbiamo l’impressione o la convinzione di capire qualcosa quando isoliamo la causa, o le poche cause, che producono un certo effetto, quando possiamo prevedere cosa succedera’ se facciamo una certa cosa, quando sappiamo far rientrare quello che vediamo in una qualche legge generale, quando possiamo, volendo, fare qualcosa una seconda volta e ottenere gli stessi risultati.

    Questo e’ il quadro tracciato dalla scienza e dal pensiero comune fino a poco tempo fa. La realta’ puo’ apparire complicata e confusa ma l’analisi paziente e sistematica della scienza fa emergere i sistemi semplici e altamente comprensibili che stanno dietro a questa apparente complicatezza e confusione. Invece da non molto tempo, da un paio di decenni, la scienza e’ andata scoprendo che la realta’ non e’ fatta fondamentalmente di sistemi semplici ma e’ fatta di sistemi complessi. Un sistema complesso e’ l’opposto di un sistema semplice. Un sistema complesso e’ fatto da un grande, grandissimo, numero di elementi che si influenzano localmente, cioe’ ogni elemento influenza ed e’ influenzato solo da un piccolo numero di altri elementi, e il risultato globale, al livello dell’intero sistema, sono delle proprieta’, dei fenomeni complessivi che sono si’ la conseguenza delle tante microinfluenze locali tra gli elementi del sistema ma non sono prevedibili, o deducibili, conoscendo anche con la massima esattezza come sono fatti gli elementi e come interagiscono e si influenzano tra di loro. Diversamente dai sistemi semplici, i sistemi complessi tendono ad essere imprevedibili, a cambiare nel tempo in modi imprevedibili, a reagire agli stimoli esterni in modi imprevedibili, a svilupparsi in modi che dipendono anche da minime differenze nelle condizioni iniziali e che tuttavia, anche conoscendo queste condizioni iniziali, e’ difficile prevedere, e poi ad essere unici, irripetibili.

    Sistemi complessi oggi la scienza li sta scoprendo ovunque, nel tempo metereologico, nel modo in cui si muovono i fluidi, nella lunga catena di basi chimiche del DNA, nell’enorme numero di neuroni e di connessioni sinaptiche di un sistema nervoso, nelle complesse interazioni che hanno luogo tra le diverse componenti di un ecosistema, nei tanti individui che comunicando e interagendo tra loro formano una societa’, di formiche o di esseri umani, nei tanti "attori" che formano un mercato economico, nei tanti computer collegati tra loro in Internet. La scienza sta cominciano a guardare a tutti questi fenomeni come a sistemi complessi e sta elaborando gli strumenti concettuali, matematici e di simulazione al computer con cui cercare di capire come funzionano i sistemi complessi, quali sono le loro caratteristiche, come li dobbiamo studiare, come possiamo, nella misura del possibile, prevederne e controllarne il comportamento.

    Con i sistemi complessi la nostra visione della realta’ cambia, cambia la nostra idea di come e quanto possiamo capire la realta’. Oggi i sistemi complessi ci sono ancora poco familiari e i nostri strumenti per analizzarli e capirli sono ancora in sviluppo. Per questo il riconoscimento che la realta’ e’ fatta di sistemi complessi oggi si traduce spesso soltanto in un senso confuso di incertezza – che alimenta il senso di diminuita comprensibilita’ della realta’ di cui parleremo nell’ultimo capitolo di questo libro. Andando avanti le cose miglioreranno. Ma avendo capito che la realta’ e’ fatta in buona parte di sistemi complessi, la nostra visione della realta’ non sara mai piu’ quella che e’ stata finora.

    I sistemi complessi debbono essere un’altra aggiunta al curriculum scolastico. Sarebbe sbagliato tenerli fuori della scuola e lasciare che l’educazione dei ragazzi vada avanti come se la comprensibilita’ della realta’ fosse legata soltanto all’esistenza di sistemi semplici. Si puo’ dire che sappiamo ancora troppo poco dei sistemi complessi per portarli dentro la scuola. Oppure si puo’ pensare che i sistemi complessi sono un argomento troppo difficile per i ragazzi. Entrambi gli argomenti non reggono. Sappiamo abbastanza dei sistemi complessi per portarli dentro l’educazione scolastica - e poi oggi, in generale, con i progressi diventati cosi’ rapidi della scienza, non si puo’ piu’ portare dentro all’educazione solo quello che e’ consolidato e che esiste da anni, con il rischio di avere sempre una educazione scientifica, e una educazione in genere, sistematicamente invecchiata. Ed e’ possibile costruire un curriculum sui sistemi complessi che cominci dalla scuola elementare - soprattutto con l’aiuto del computer.

    Il computer come contenuto culturale, non come strumento, e i sistemi complessi sono due vere e proprie aggiunte al curriculum scolastico. Poi vi sono cambiamenti da apportare a cose che gia’ stanno dentro al curriculum scolastico. Questo riguarda soprattutto la storia. La storia, cioe’ fare conoscere e capire ai ragazzi il passato degli esseri umani e delle loro societa’, e come queste societa’ sono cambiate nel tempo e perche’, rimane un obbiettivo fondamentale dell’educazione. Ma la storia deve cambiare. Diciamo molto rapidamente in che modo, dato che di questi problemi ci occuperemo diffusamente nel corso del libro.

    L’insegnamento della scuola deve cambiare in tre modi. Primo, deve diventare un insegnamento rivolto a far conoscere e capire il passato delle societa’ umane nello stesso senso in cui la scienza cerca di conoscere e di capire tutti fenomeni della realta’, non a ricordare il passato per costruire una identita’ e un senso di appartenza nei ragazzi, cioe’ quello che la storia e il suo insegnamento sono stati prevalentemente fino ad oggi. Secondo, la storia deve diventare storia globale, cessando di essere storia centrata o addirittura limitata al passato della comunita’ culturale e politica di cui si e’ parte. Quindi deve essere una storia allargata nello spazio e nel tempo, decentrata sull’intera Terra. Terzo, l’apprendimento della storia non deve passare piu’ soltanto attraverso il linguaggio, il linguaggio delle lezioni dell’insegnante e il linguaggio dei libri di storia, ma deve utilizzare il computer, cioe’ la visualizzazione e la simulazione dei fenomeni storici, e Internet come un nuovo tipo di deposito attivo e interattivo di informazioni.

    Oltre ad aggiungere nuove cose al curriculum e a cambiare radicalmente il senso e i contenuti di alcune discipline/materie scolastiche che gia’ esistono, il cambiamento del curriculum deve riguardare anche alcune sue caratteristiche generali. Un cambiamento di carattere generale da apportare al curriculum scolastico e’ quello di rendere il curriculum meno disciplinare. Sforzi di questo genere la scuola gia’ ne compie, ma sono sforzi di interdisciplinarieta’, cioe’ sforzi di trovare collegamenti tra le discipline esistenti, e che percio’ spesso rimangono artificiosi e superficiali. Invece di cercare di realizzare un insegnamento interdisciplinare che continui a dare per scontata una struttura disciplinare della scienza, quello che e’ necessario e’ cercare di realizzare un insegnamento non disciplinare. Questo naturalmente e’ piu’ difficile perche’ richiede che nella stessa scienza che fa da base all’insegnamento si compia uno sforzo per mettere da parte le divisioni disciplinari e perche’ richiede da parte di tutti, scienziati e insegnanti, competenze nuove e cambiamenti sostanziali nei modi di vedere e fare le cose. Questo oggi e’ possibile, sia nella scienza che nell’insegnamento, perche’ ci sono a disposizione strumenti concettuali e metodologici che permettono di affrontare i fenomeni della realta’ in modo non disciplinare. Questi strumenti indifferenti alle separazioni disciplinari sono i sistemi complessi, le simulazioni al computer come strumenti di ricerca e di apprendimento, la visione della storia come storia complessiva della realta’, il vedere gli esseri umani e i loro prodotti storici come uno dei tanti fenomeni della realta’, niente di piu’ o di diverso.

  11. Come va cambiato il sistema complessivo delle istituzioni con le quali la societa’ educa i suoi membri?

Ma il cambiamento non puo’ riguardare soltanto l’istituzione scuola. Esso deve riguardare tutto il sistema complessivo delle istituzioni che nella societa’ hanno compiti di educazione, dalle biblioteche ai musei.

Intanto, per cambiare la scuola nel modo profondo in cui e’ necessario cambiarla, bisogna guardare la scuola dall’esterno, con distacco, o, come si dice, storicamente. Solo prendendo le distanze dalla scuola come la conosciamo e’ possibile pensare a nuovi modi, piu’ appropriati alla societa’ attuale e a quella del prossimo futuro, per trasmettere la cultura e preparare i giovani a vivere nella societa’ in cui vivranno. Questo non e’ facile (e infatti non avviene) prima di tutto perche’ ci sono inevitabilmente interessi che puntano al mantenimento della scuola cosi’ com’e’, ma anche perche’ questa e’ la scuola con cui tutti hanno una grande familiarita’ perche’ tutti l’hanno frequentata, e diventa percio’ difficile immaginarsene un’altra.

Un’istituzione scuola non e’ esistita sempre, in tutte le societa’ umane. Come abbiamo gia’ osservato, nelle societa’ piu’ semplici la trasmissione del sapere e della cultura avviene senza scuola. I piccoli imparano dai genitori, dagli adulti in genere, dai maestri artigiani, e date le dimensioni ridotte di quello che deve essere trasmesso e il tipo di organizzazione della societa’, non c’e’ bisogno di una istituzione specializzata come la scuola. Ma anche una volta nata come istituzione, i compiti della scuola sono cambiati del tempo. La scuola per molto tempo e’ stata scuola di elite, cioe’ scuola per un ristretto numero di ragazzi destinati a essere da adulti la classe dirigente, e solo da poco e’ diventata scuola di massa, cioe’ scuola per tutti. Oggi assistiamo a un altro cambiamento. Il grande sviluppo delle tecnologie della comunicazione e lo spazio crescente che queste tecnologie occupano nella societa’, hanno accresciuto le possibilita’ di apprendimento fuori della scuola. Si impara molto piu’ di prima a casa, nelle strade, dalla televisione, dalla pubblicita’, dai CD, da Internet. Percio’ lo spazio di una istituzione specificamente dedicata all’apprendimento come la scuola diminuisce, per cosi’ dire, spontaneamente.

Ma forse e’ necessario un ridimensionamento intenzionale e pianificato della scuola. Forse non tutto l’apprendimento deve avvenire dentro la scuola, ed e’ necessario accrescere il ruolo di altre istituzioni nello svolgimento di compiti educativi.

La scuola e’ un sistema educativo rigido. Oggi l’apprendimento deve diventare flessibile. L’apprendimento flessibile e’ un apprendimento che avviene in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni modo, su ogni argomento e che riguarda ogni persona. (Per questo si potrebbe anche chiamare apprendimento "ogni".) Oggi, con la scuola come unica istituzione dedicata all’apprendimento, l’apprendimento e’ tutto tranne che flessibile in questo senso. Nella scuola l’apprendimento avviene in un tempo specifico, cioe’ nell’orario delle lezioni e dell’apertura delle scuola, e non in altri momenti della giornata, in un luogo specifico, cioe’ l’edificio scolastico, e non in altri luoghi, in un modo specifico, cioe’ attraverso il linguaggio e non attraverso altri canali di comunicazione e di attivita’ cognitiva, su argomenti specifici, cioe’ quelli previsti nei programmi scolastici e nel curriculum complessivo della scuola, e non su altri argomenti dei tanti possibili, e riguarda individui specifici, cioe’ gli studenti, e non tutte le altre persone.

Una delle conseguenze piu’ importanti delle nuove tecnologie basate sul computer e’ che esse rendono possibile l’apprendimento flessibile. Con le nuove tecnologie, almeno in teoria, si puo’ apprendere in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni modo, su ogni argomento e chiunque puo’ apprendere. La scuola non solo non permette l’apprendimento flessibile, ma e’ fatta in modo tale che e’ sostanzialmente incompatibile con l’apprendimento flessibile. Percio’ l’apprendimento flessibile reso possibile dalle nuove tecnologie rappresenta una sfida per la scuola e una spinta forte al suo cambiamento.

La scuola cosi’ come la conosciamo e’ prima di tutto un edificio, le aule, le classi di alunni, le lezioni, gli insegnanti, i libri, i compiti, le interrogazioni, gli esami. Tutta questa struttura e’ messa in questione dalle nuove tecnologie. Le nuove tecnologie non possono essere "aggiunte" alla scuola perche’, se entrano dentro la scuola, esse hanno la tendenza a fare "esplodere" la struttura fisica e organizzativa della scuola. La capacita’ delle nuove tecnologie di realizzare un apprendimento flessibile contrasta con la rigidita’ fisica e organizzativa della scuola, una rigidita’ che aveva un senso quando le uniche tecnologie disponibili erano la comunicazione faccia a faccia tra esseri umani, i libri, la lavagna e il gesso, e poco altro. Le caratteristiche del computer, cioe’ del "cuore" delle nuove tecnologie, le sue enormi capacita’ di conservare informazioni, di elaborarle velocemente, di tradurle da una modalita’ comunicativa all’altra, di trasformarle, di comunicarle da un punto dello spazio all’altro, e soprattutto la sua capacita’ di stabilire una interazione tra essere umano e artefatto tecnologico assolutamente impensabile prima del computer - capacita’ oggi amplificate praticamente all’infinito dalla rete di Internet che cresce in ogni istante - rendono questa rigidita’ obsoleta. Se c’e’ accesso al computer questo significa letteralmente che chiunque (quali che siano le sue caratteristiche e la sua eta’) puo’ imparare su qualunque argomento (che faccia parte di un curriculum stabilito di formazione o no), in qualunque luogo (dove sia disponibile un computer o qualcosa di collegato a un computer), in qualunque momento della giornata, e soprattutto seguendo qualunque modalita’ di apprendimento: lezione registrata e ascoltata, pagina del libro letta, navigazione solitaria in un ipertesto multimediale, cioe’ in una rete di nuclei di informazione seguendo un percorso scelto da chi apprende, apprendimento usando Internet come deposito sempre in crescita di ogni tipo di informazione, apprendimento collaborativo interagendo da vicino o a distanza con altri studenti o con tutor e esperti, apprendimento attraverso il linguaggio, le immagini e i suoni, apprendimento ottenuto manipolando come in un laboratorio sperimentale modelli simulati dei fenomeni su cui si vuole apprendere.

Un apprendimento flessibile, di contro alla rigidita’ dell’apprendimento scolastico, oggi e’ necessario anche per l’evoluzione dell’economia e del lavoro. Questa evoluzione sempre piu’ richiede una formazione flessibile e continuamente aggiornata che la scuola fa fatica a realizzare, se si vuole lavorare in una societa’ che presenta meno lavori fissi, cambiamenti costanti nei processi produttivi e nelle cose prodotte, globalizzazione. La scuola e’ molto lenta ad aggiornarsi essa stessa nei contenuti e nei metodi (si pensi alla lentezza di un sistema di formazione universitaria che produce una volta per tutte insegnanti poi difficilmente modificabili), e’ basata su programmi formativi rigidi, ed e’ ristretta all’eta’ dello sviluppo dei ragazzi invece di essere intrinsecamente formazione permanente.

Se le nuove tecnologie realizzeranno le loro potenzialita’ di apprendimento flessibile, almeno due elementi portanti della vecchia struttura della scuola saranno esposti a trasformazioni radicali: da un lato, l’edificio stesso della scuola (ad esempio le aule) e il suo modo di funzionare (classi, corsi, programmi, lezioni), dall’altro, gli insegnanti. La scuola come struttura anche fisica potrebbe trasformarsi in una "casa dell’apprendimento flessibile", luogo aperto (ventiquattro ore su ventiquattro?) avente la funzione di permettere l’apprendimento flessibile come l’abbiamo definito. Oppure la scuola potrebbe essere affiancata da "case dell’apprendimento flessibile", magari ricavate da una trasformazione delle biblioteche/mediateche pubbliche, e potrebbe coordinare la sua funzione di educazione con quella di queste "case dell’apprendimento flessibile".

Per quanto riguarda gli insegnanti, il primo passo da compiere e’ smettere di pensare che il problema sia quello che gli insegnanti siano formati, selezionati, aggiornati e pagati meglio. Certamente gli insegnanti oggi sono formati, selezionati, aggiornati, e pagati male. Ma i problemi veri della scuola oggi non sono questi, ed e’ un errore dedicarsi a formare, selezionare, aggiornare e pagare meglio le vecchie figure professionali degli insegnanti. La nuova configurazione dei sistemi educativi che si profila richiede prima di tutto una radicale revisione della figura professionale dell’insegnante, anzi la sostituzione della tradizionale figura professionale unica dell’insegnante con un insieme di figure professionali anche molto diverse tra loro:

  • gli esperti che disegnano e realizzano i nuovi sistemi tecnologici con funzione educativa, persone in parte simili a quelli che li disegnano per altre funzioni ma certamente molto diverse da chi oggi scrive i libri di testo e i libri in genere;
  • i tecnici che fanno funzionare in modo fluido la tecnologia nella scuola;
  • l’ "insegnante" come tutor individuale e di gruppo che regola le interazioni tra gli studenti e la tecnologia, e non solo le interazioni tra se’ stesso e gli studenti o tra gli studenti tra di loro;
  • l’ "insegnante" (non necessariamente la stessa persona del tutor) come guida allo sviluppo psico-sociale degli studenti;
  • gli amministratori/gestori delle nuove organizzazioni dell’educazione.

Da questo punto di vista, e’ evidente che la estrema rigidita’ attuale della destinazione dei soldi per l’educazione pubblica, che vengono spesi oggi nella loro quasi totalita’ per gli stipendi degli insegnanti, dovrebbe essere sostituita da politiche completamente nuove di investimento e di spesa.

Ma anche altre istituzioni della societa’ che svolgono una funzione in senso lato educativa, come i musei, le citta’ della scienza, i centri visita dei siti archeologici, potrebbero con le nuove tecnologie rendere la loro funzione educativa piu’ incisiva, dimostrabile, e capace di rivolgersi a tutti. I musei tradizionalmente si limitano a esibire artefatti artistici, tecnologici, archeologici, dimostrazioni di fenomeni naturali e di esperimenti scientifici, e questa esibizione viene considerata come capace di per se’ di produrre nel visitatore conoscenza, cultura e comprensione della realta’. Quello che viene aggiunto e’ un minimo di notizie comunicate con il linguaggio o con qualche figura: l’autore e il titolo di un quadro, il paese di origine e la funzione di uno artefatto artigianale, un pannello che illustra un fenomeno storico o descrive l’analisi scientifica di un fenomeno. Ora l’esibizione pura e semplice delle cose puo’ essere appropriata per i musei d’arte dato che l’educazione visiva e’ anche pura e semplice esposizione del visitatore alle opere d’arte. Ma per gli altri musei, archeologici, etnografici, storici, per le citta’ della scienza, per i centri visita dei siti archeologici, e anche per gli stessi musei d’arte se essi debbono avere non solo una funzione di educazione visiva ma anche funzioni educative nel campo della storia e della vita sociale del passato, continuare oggi con la pura e semplice esibizione di cose significa perdere una grande occasione di sfruttare le grandi potenzialita’ di comunicazione e di apprendimento delle nuove tecnologie.

A Roma c'e' un museo dedicato alle culture del medio e estremo oriente. Il museo e’ piccolo ma con buone collezioni. Recentemente e’ stato ristrutturato e quindi si presenta in modo molto dignitoso e ordinato. Nel museo sono esibiti, nelle vetrine, vasi, gioielli, strumenti, armi, delle culture dell’Oriente, dalle coste del Mediterraneo orientale fino al Pacifico. Il supporto didattico sono i cartellini sintetici che accompagnano gli artefatti, qualche pannello, qualche depliant e, all’ingresso, un computer con una presentazione multimediale del museo. L’impressione e’ che il museo sia visitato come tutti i musei di questo tipo e livello: non molti visitatori, qualche classe scolastica.

Un museo cosi' perde l’occasione di essere uno strumento attivo, efficiente e rivolto a tutti per fare conoscere e fare capire che cosa e’ successo in quella importante e vasta parte del mondo in un lungo passato storico, fino a innestarsi in quello che sta succedendo oggi: i problemi del Medio Oriente e quelli del sub-continente indiano, lo sviluppo economico dei paesi del sud-est asiatico, quello che cambia e quello che non cambia in Cina, i travagli del Giappone. Nella fase attuale della globalizzazione, come e’ possibile che non si approfitti dell’esistenza di una struttura come questo museo per farne una finestra aperta su quel mondo? Quale altra struttura o istituzione puo’ prendersi questo compito in una citta’ come Roma?

I nuovi strumenti tecnologici sono pronti per essere usati proprio a questo scopo. Quel museo dovrebbe essere ridisegnato con la missione di far conoscere e capire al maggior numero possibile di persone storia passata, dinamiche ambientali, demografiche, economiche, e culturali dei popoli dell’Asia nel tempo, creando cosi’ le basi per capire quello che e’ oggi l’Asia. Il computer puo’ essere quello che permette la trasformazione. Puo’ permettere di offrire ai visitatori visualizzazioni, mappe storiche dinamiche e interattive di ogni tipo di fenomeno, simulazioni dei processi storici sulle quali il visitatore puo’ intervenire modificando fattori e valori dei parametri e osservando gli effetti di queste sue manipolazioni, collegamenti mirati e organizzati a Internet. E tutto questo puo’ essere realizzato rendendo tutto cio’ che viene offerto al visitatore adattabile alle capacita’ e alle motivazioni di vari tipi di visitatori.

3. Questo libro

In questo libro discutiamo questi sei problemi "veri" della scuola e, dove e’ possibile, indichiamo soluzioni, o almeno direzioni in cui muoversi per trovare soluzioni. Date le particolari esperienze e competenze dell’autore, alcuni problemi vengono discussi piu’ a fondo, come il problema del posto che il computer deve avere nell’educazione, mentre altri, come quello di come deve regolarsi la scuola di fronte alla dominante cultura di massa, restano piu’ sullo sfondo.

Nel Capitolo 2 discutiamo il fatto che la scuola, prima di prendere una qualunque posizione a proposito del computer, deve rendersi conto delle molte "facce" e delle molte sfide che il computer presenta alla scuola, e dei molteplici aggiustamenti che la scuola deve compiere per assorbire quella che con ogni probabilita’ risultera’ essere la piu’ grande invenzione del secolo appena concluso. Nel Capitolo 3 parliamo della novita’ principale e piu’ rivoluzionaria del computer dal punto di vista della mente e della sua formazione/educazione, cioe’ il fatto che il computer, rendendo le immagini e la visualita’ competitive rispetto al linguaggio come canale di comunicazione e di pensiero, fa intravedere la possibilita’ che la visualita’ tolga al linguaggio il predominio che esso ha avuto e ha tuttora nella nostra cultura e nella nostra educazione.

I Capitoli 4 e 5 sono dedicati alla storia e all’insegnamento della storia. I cambiamenti nella societa’ richiedono che l’insegnamento della storia cambi in tutti i suoi aspetti: nei contenuti, nel metodo e nelle finalita’. La storia insegnata nelle nostre scuole deve cessare di essere storia d’Italia e diventare storia globale, deve usare le simulazioni come laboratori di apprendimento e non essere piu’ legata al solo linguaggio, e deve avere come finalita’ la comprensione scientifica del passato delle societa’ umane e non la conservazione del passato come memoria culturale. Il Capitolo 6 descrive tutta una serie di simulazioni al computer di fenomeni della realta’ (fenomeni di biologia, ecologia, comportamento, fenomeni sociali e storici) con l’idea che queste simulazioni possano fungere da laboratori didattici per gli studenti, rendendo possibile un apprendimento meno passivo e basato solo sulle parole (dell’insegnante o del libro di testo) e piu’ attivo e basato sulla interazione dello studente con la realta’ (simulata).

Il Capitolo 7 descrive uno scenario di trasformazione delle attuali biblioteche/mediateche pubbliche in "case delle tecnologie", in cui ogni cittadino ha la possibilita’ di familiarizzarsi con le nuove tecnologie digitali, in "case dell’apprendimento flessibile", in cui chiunque puo’ apprendere su qualunque argomento in qualunque modalita’ in qualunque momento, e in "case delle simulazioni", in cui ogni cittadino con l’aiuto delle visualizzazioni e delle simulazioni che gli vengono offerte dal computer puo’ farsi un’idea un po’ piu’ precisa dei tanti e complessi fenomeni e problemi economici, ecologici, sociali, organizzativi delle societa’ attuali di cui si parla tutti i giorni. Il Capitolo 8 elenca le numerose ragioni che ci fanno apparire oggi tutta la realta’ confusa e poco comprensibile, e discute cosa puo’ fare la scuola per migliorare questo stato di cose. Il Capitolo 9 trae le conclusioni domandandosi "Si puo’ essere ottimisti?" sul futuro della scuola, e rispondendo che l’ottimismo non puo’ essere molto e che in ogni caso e’ la tecnologia e il computer quello su cui si deve investire oggi con qualche speranza di produrre cambiamenti nella scuola che siano all’altezza dei cambiamenti nella societa’.