Diario di bordo - Paolo Subioli  
 
Convegno 
"Trovarsinrete. Biblioteche e scuole per la cittadinanza digitale"

Ore 15.00 Prove di cittadinanza futura
 

La “crisi” delle reti civiche

Le meraviglie tecnologiche, che continuamente si dispiegano di fronte a noi, ci fanno credere in un mondo dove tutto sia possibile, dove i dispositivi sempre nuovi per interconnettersi in rete siano in grado di indurre nei nostri comportamenti cambiamenti profondi.

Il telefonino ha modificato il nostro modo di camminare per strada e persino di stare seduti a bere un caffè? E’ niente, in confronto a quello che farà l’UMTS. Internet ha rivoluzionato il modo di lavorare? Vedrete quando arriverà la banda larga!

Di più grande delle aspettative nei confronti delle tecnologie, ci sono solo le delusioni che provocano quando si capisce che nell’immediato non cambiano proprio niente, o quasi.

Così sta avvenendo nei confronti del Web e delle sue molte applicazioni, che sembrano non essere pienamente alla nostra portata. Avviene, cioè, che i nostri comportamenti e il nostro modo di strutturarci in organizzazioni abbiano in realtà bisogno di molto più tempo per assimilare le nuove tecnologie e i cambiamenti che una loro adozione comporta.

Ad esempio, ultimamente si sente parlare di crisi delle reti civiche, se non addirittura di fine imminente. E’ molto strano, dal momento che le reti civiche sono applicazioni recenti di una tecnologia molto giovane, destinata, a parere di tutti, ad una diffusione universale e capillare. Le prime sperimentazioni in questo campo risalgono al 1993-94 e da allora, tra mille difficoltà, è stata fatta molta strada: i decisori politici sono molto più interessati alle nuove tecnologie e il recente boom di Internet nel nostro Paese fa sperare in un significativo allargamento dell’utenza.

Eppure, non è senza significato che si parli di “crisi” o di “fine”. A ben guardare, innanzi tutto, tra coloro che si preoccupano maggiormente delle sorti delle reti civiche ci sono proprio i loro responsabili, i promotori e gestori dei servizi on line degli Enti locali.

La mia opinione, di osservatore esterno e un po’ cinico, è che queste persone, abituate per anni a vedere premiate le proprie battaglie all’interno delle amministrazioni con continui riconoscimenti (soprattutto esterni) del proprio ruolo di innovatori, non sappiano più cosa inventarsi per tenere i riflettori puntati su un settore i cui annunci riscuotono sempre meno interesse, e dal quale ci si aspetta piuttosto risultati concreti.

Quanti cittadini italiani, in sostanza, oltre a comprare un libro on line possono andare sul Web per pagare l’ICI, iscrivere il figlio a scuola o comunicare alla pubblica amministrazione di aver cambiato casa?

Dopo la fase pionieristica, caratterizzata da redazioni Internet isolate all’interno dei propri Enti e oberate di lavoro per mantenere sempre un livello decente di aggiornamento, si sta aprendo la ben più impegnativa prospettiva dell’e-government, ovvero della piena e integrale informatizzazione del lavoro amministrativo, sia interno che tra amministrazioni. Una strada che contempla la realizzazione delle intranet degli Enti come della extranet dell’intero settore pubblico, l’adozione del protocollo informatico come dell’archiviazione digitale dei documenti, l’informatizzazione delle singole postazioni di lavoro come la gestione elettronica dei rapporti con i cittadini, eccetera.

In questo senso, certamente è legittimo parlare di fine delle reti civiche, se con questo termine si intendono le sperimentazioni sino ad oggi compiute per dare ai cittadini nuovi servizi on line di interesse pubblico.

Un nuovo ciclo si apre

Non è più tempo di sperimentazioni, pertanto, ma di “reinventare” il governo della cosa pubblica, alla luce dei nuovi paradigmi di rete che si stanno affermando in tutta la società, riorganizzando l’intera catena del valore che interessa le pubbliche amministrazioni, dal rapporto coi fornitori a quello con i propri clienti (i cittadini), analogamente a quanto le imprese dovrebbero fare rispetto all’e-business.

E non ci vorrà poco tempo.

Ma ci sono anche altri segnali, molto più palpabili, che si sia chiuso un ciclo, per esperienze come le reti civiche. Il più evidente - forse anche il più “grave”, in quanto causa di crisi d’identità - è legato all’importante ruolo di promozione delle nuove tecnologie che le reti civiche hanno svolto per tutta la seconda metà degli anni ’90, e che oggi non è più necessario, perché tutti sanno che esiste Internet, al quale si può accedere quasi gratuitamente e con maggiore facilità.

Né può avvenire più che i responsabili Internet dei Comuni agiscano indisturbati nell’indifferenza generale, dal momento che ciascuno vuole dire la sua su come deve essere fatto il sito, dall’assessore al responsabile dell’ufficio stampa, senza dimenticare l’URP, legittimato dalla recente legge 150 a metter mano anche alla comunicazione interattiva. Presto verrà il giorno, anzi, che l’opposizione in Consiglio comunale reclamerà il potere di controllo sui contenuti del sito, per evitare che si trasformi in strumento di propaganda per la coalizione in carica, come già molto spesso accade.

Le reti civiche sono morte, quindi. Viva le reti civiche! Un nuovo ciclo si apre, meno pionieristico, certamente, ma forse altrettanto glorioso, a patto che la generazione emergente di comunicatori pubblici sappia raccogliere le nuove sfide del decennio che viene.

1) Alfabetizzare all’uso delle nuove tecnologie è ancora necessario, perché in Italia c’è ancora troppa poca gente che sa usare il PC. La disponibilità in rete di servizi utili può attrarre verso il Web ulteriori neofiti.

2) La gente ha più fiducia nel proprio Comune che nella maggioranza dei venditori attivi sulla rete. La presenza su Internet, specie se con servizi interattivi sicuri, può incoraggiare i consumatori meno fiduciosi. Lo stesso rapporto privilegiato può essere sfruttato per “certificare” la qualità dei fornitori di contenuti e servizi presenti su quei portali locali che le reti civiche sempre più stanno diventando.

3) La firma digitale è ormai una possibilità concreta: la normativa è pienamente operativa, ci sono i certificatori iscritti all’albo, tra poco ci sarà persino la carta d’identità elettronica. I dipendenti pubblici devono essere dotati al più presto di certificati digitali, affinché la digitalizzazione dei processi amministrativi diventi una realtà.

4) Dei molti dispositivi che il mercato ci propone continuamente per avviare nuovi cicli di consumo di massa – WAP, GPRS, UMTS, Web-TV, ecc. - ce ne sarà qualcuno che riuscirà ad avere una diffusione significativa, mettendo degli strumenti interattivi nelle mani di molti più cittadini, ed allora gli Uffici per le Relazioni con il Pubblico potrebbero trovarsi ad affrontare una sfida assai impegnativa.

Siamo pronti?